Un articolo sul sito dell'Accademia della Crusca ("Plurale di manina, braccino, ditino e... ovetto" di Paolo D’Achille e Anna M. Thornton) copre l'argomento.
Analizzando il corpus storico di La Repubblica trova:
- 1 "braccini", 22 "braccine", 0 "braccina"
- 2 "lenzuolini", 1 "lenzuoline", 0 "lenzuolina"
- 9 "ditini", 8 "ditine", 3 "ditina"
Da Google Libri le abbondanze relative sembrano simili, ma sono ribaltate per "ossa", per cui prevale, tra quelle femminili, la forma in "-ina":
- 68 "braccini", 2040 "braccine", 65 "braccina"
- 801 "ditini", 218 "ditine", 167 "ditina"
- 3840 "ossicini", 101 "ossicine", 256 "ossicina"
Da un'esplorazione delle grammatiche, l'articolo della Crusca trova che o il tema non viene trattato, o, laddove lo fosse, che le forme in "-ina" sono indicate come "non ammissibili" o non elencate tra quelle ammissibili.
Concludendo, tra le forme in -i e quelle in -e trova sostanziale equivalenza:
L’assenza di prescrizioni normative da un lato e la diffusione dei diminutivi di questo tipo più nel parlato colloquiale che nello scritto (e in genere nell’uso formale) spiegano perché l’uso non sia mai stato regolamentato e risulti ancora oscillante
mentre sconsiglia l'uso della forma in -a:
le forme in -a non sembrano neppure oggi proprio del tutto impossibili. Sono però decisamente marginali, e dunque sconsigliabili.