Ho trovato in questo post sul forum OperaClick una domanda simile alla tua:
Turandot: China (/ˈki.na/) oppure Cina (/ˈʧi.na/)?
Gentili esperti, un
quesito a cui non ho potuto dare risposta, spigolando in rete. Sullo
spartito è scritto "China"; qualcuno canta China altri Cina. Hoepli
dice: Cina, China.
* Perché si dice Olimpiadi in Cina, viaggio in Cina, commercio con la Cina, ma inchiostro di China? E perché blu Cina e nero di China? Non
stiamo forse parlando dello stesso paese? Certamente. Addirittura,
fino ai primi del Novecento, Cina e China si alternavano nell’uso, e
così pure si diceva indifferentemente chinese e cinese.
* Tutto questo si spiega con un errore di lettura: un’errata lettura del nome portoghese China, con cui cominciammo a conoscere molti
secoli fa questo paese, allora molto lontano. Ma i portoghesi, allora
colonizzatori, leggono il ch come noi leggiamo la c, cioè palatale,
quasi Scina, riproducendo così la pronuncia cinese. Noi, invece,
leggemmo la grafia portoghese all’italiana.
* Ciò premesso, è chiaro che oggi chiamare Cina il paese, e dire invece inchiostro di China è un’assurdità, ma ce la dobbiamo tenere
così com’è: la denominazione inchiostro di China resiste indisturbata
perché è diventata un nome tecnico. E così pure nero di China. Mentre
blu Cina, denominazione recente, è sfuggita all’equivoco.
Puccini, Adami e Simoni cosa hanno detto?
A cui viene risposto:
Una pronuncia filologica del libretto impone ovviamente la dizione
/ˈkina/, cosí come —so già che tutti voi sapete, ma repetita iuvant—
«Turandot» va pronunciato a rigore /-ˈdɔt/, e non /-ˈdo/ alla
francese, né tantomeno /-ˈdɔ/ (che sarebbe l’adattamento
dell’adattamento francese; cfr fr. «bordeaux» /boʁdo/ > it. «bordò»
/-ˈdɔ/).
«China», che si sostituisce al «Catai» del Milione, nasce —come lei
riporta giustamente— dalla lettura all’italiana del portoghese «China»
/ʃi'nɐ/, cioè appunto /ˈkina/, che s’alterna per qualche tempo con la
variante «piú rigorosa» (per cosí dire) Cina /ˈʧina/. Non sarebbe il
primo caso di errore di lettura, nella storia della lingua italiana,
che produce vocaboli nuovi o li filtra al loro primo ingresso
nell’idioma: si vedano ad esempio collimare (err. per collineare),
zenit (alterazione trascrittiva dell’arabo samt) e ovest (err. per il
francese ouest). Una volta imposte nell’uso, tali forme restano
canoniche e non sono da aborrire.
Tuttavia, nel caso di varianti in competizione, non è raro che una di
esse —in genere quella caduta definitivamente in disuso—, legatasi in
polirematiche stabili, sopravviva alla propria desuetudine. Sicché, in
realtà, non c’è niente di «assurdo» se chiamiamo il Paese «Cina» ma
diciamo/scriviamo «inchiostro di China» (o «di china»; sempre
minuscolo quando lessicalizzato nel solo «china», sostantivo
femminile). Esempi analoghi? «Lana d’Angora» o «d’ angora» /ˈangora/
(o semplicemente «angora», s.f.) per «d’Ankara», o ancora —scavando
piú a fondo— «cravatta» e «casacca» per «croata» e «kazaca».
È indubbio, per concludere, che il compositore e i librettisti
pronunciassero /ˈkina/, com’era allora canonico, e che a tale dizione
i cantanti debbano scrupolosamente aderire. (Controversa invece la
questione di «Turandot», poiché, stando alla Raisa, Puccini quella t
non l’avrebbe pronunciata. Diversamente, suppongo io, dai letterati
Adami e Simoni.)
Sul Grande Dizionario della Lingua Italiana, vol. 3 (CERT-DAG) pag. 79, si può leggere:
Dal nome della Cina, secondo la grafia China dei primi esploratori portoghesi,
che ne furono informati dagl'Indiani o dai Malesi. Il nome della China
è derivato dalla dinastia cinese Ch'in (255-206 a.C.), che allora
unificò il paese in un grande impero. Fino a poco tempo fa s'è scritto
‘China’ e ‘Chinese’. Cfr. Boccardo, I-519: «Quella numerosa
popolazione che... fu il primo movente dei progressi industriali ed
economici della China, è eziandio la causa di grandi miserie», e «Il
Chinese trascura e disprezza (opposto in ciò all'Indiano) come inutili
i fatti che non hanno se non un valore teorico e speculativo» (ma
nell'esponente scrive Cina).