Ho avuto la fortuna di poter parlare con un italiano che conosce molto bene l'opera di D'Arzo. In questo modo ho potuto capire che esistono molte versioni diverse del racconto Casa d'altri. Nella biblioteca Panizzi di Reggio Emilia si trova un manoscritto del racconto che contiene una storia molto piú lunga di quella pubblicata. Esistono anche due dattiloscriti abbastanza diversi tra di loro (e anche con titoli diversi che adesso non ricordo piú). Uno di questi testi è quello che è stato usato da Giorgio Bassani e Attilio Bertolucci per pubblicare il racconto con il titolo Casa d'altri nella rivista Botteghe oscure, nel 1952, poco dopo la morte dell'autore. Precedentemente, però, nel 1948, una versione piú corta del racconto, con il titolo Io prete e la vecchia Zelinda, venne pubblicata con lo pseudonimo di Sandro Nedi nella rivista Illustrazione italiana. Poi, nel 1960, Vallecchi pubblicò il racconto Casa d'altri nel libro Nostro lunedí. Racconti. Poesie. Saggi. La versione da Einaudi nel libro Casa d'altri e altri racconti, che è quella che ho letto io, è essenzialmente la stessa di quella di Vallecchi (può darsi che ci sia qualche piccola correzione, non lo so). Ma poi sono state pubblicate nuove versioni di questo racconto.
La frase che appare nella domanda è quella che si può leggere nelle versioni da Vallecchi e da Einaudi. Il senso di questa frase non si capisce molto bene: sembra piuttosto strano che i ragazzi usino gli avanzi di una festa trattandosi di un paesino dove non accade mai nulla. Ma in alcune delle versioni piú moderne, come questa da Monte Università Parma (2003) e quella edita da Corsiero Editore nel 2013, che ho avuto tra le mani, la frase che appare invece di quella della domanda è
Di colpo, da dietro il bersò, balzaron fuori sei o sette ragazzi con latte vuote e coperchi e lamiere e tutto quel ch’è richiesto da una festa del genere.
Nel racconto si spiega come una vecchia contadina, Zelinda, va a parlare con il prete del paese e gli fa alcune domande sul matrimonio. Ma un'altra donna, la Melide, ascolta questa conversazione e lo spiega ad alcuni ragazzi. Questi vogliono fare uno scherzo alla vecchia e, per questo, prendono "latte vuote e coperchi e lamiere" e si mettono a inseguire la vecchia battendo le latte e gettando coriandoli, come si usa fare per festeggiare i nuovi sposati. Quindi, i ragazzi hanno "tutto quel ch’è richiesto" per la festa del matrimonio, cioè, per fare il loro scherzo alla vecchia.
Infatti, l'autore usa appunto il termine "festa" per riferirsi a questo scherzo:
«Eh, sí, sí, riconosco la firma, – mi venne subito in mente. – Qui c’è sotto la Melide, è chiaro. Quella sera ha ascoltato alla porta, e ha capito ogni cosa a suo modo, e cosí ha preparato la festa».
A proposito dell'esistenza di parecchie versioni, questo non accade soltanto con Casa d'altri. Sembra che D'Arzo rivedesse e rielaborasse di continuo i suoi testi. La sua morte prematura, però, non ci ha permesso di sapere quali versioni ritenesse le piú compiute. In particolare, per la prefazione a Nostro lunedí ho potuto constatare come, tra la versione di Vallecchi (questo italiano di cui vi ho parlato ha una copia del libro edito da Vallecchi) e quella di Einaudi, ci siano parecchie differenze.