Ogni lingua evolve.
Misurare la creatività di una lingua non è impresa facile, ma l'apparire di neologismi nel lessico ne è un buon estimatore.
Non conosco quale sia la regola dietro la scelta di inserimento di neologismi nel vocabolario (intendendo qui il vocabolario come prodotto editoriale, rivisto periodicamente), e sospetto che non sia universale.
In italiano numerosi neologismi provengono (per ovvi motivi) dall'inglese. Ci sono sostantivi presi così come sono (e.g., computer, bar, pub ...), e questo non è molto interessante. Più interessante è il caso dei verbi, che se di nuova fattura nell'italiano perché provenienti da fuori prendono sempre la coniugazione in -are (e.g., cliccare, googlare ...), in parte perché essendo la più diffusa è la più immediata da associare.
L'inserimento di foriesterismi non è l'unico stimolo al dinamismo lessicale. Ci sono infatti neologismi che nascono dall'interno dell'italiano stesso, e famoso è infatti il caso del verbo perplimere, nato (anni fa) dalla creatività di un comico. Il suo significato è chiaro e tappa la carenza lessicale di un verbo che significhi "rendere perplesso". Tuttavia, sebbene siano passati anni, tale verbo non fa ancora parte dei vocabolari ufficiali (si può leggere la sua storia qui).
Questi sono le due categorie principali di dinamismo linguistico che riesco a tracciare nell'italiano. Mi risulta che i dialetti siano molto più creativi, forse perché non avendo un vocabolario scritto non ci si pone il problema sull'inserimento o meno di termini e tutto è lasciato al naturale decorso del parlare. L'italiano ufficiale risulta molto più conservatore nell'accettare il cambiamento.
Chiedo dotti lumi circa la situazione effettiva della lingua in merito al suo dinamismo, anche magari con paragoni con altre lingue. Esempi di termini che siano attualmente in uso ma che abbiano avuto una storia di travagliata accettazione sono particolarmente ben accetti.